Understatement ed eufemismi

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Copio brutalmente un pezzo di Beppe Severgnini, tratto da “Inglese, lezioni semiserie”. Adoro le sfumature del linguaggio, adoro le piccole ipocrisie verbali, tanto scoperte da non essere più considerate nemmeno tali. Adoro quei linguaggi codificati che fanno capire solo agli iniziati il vero significato di una frase, soprattutto se sono tra essi. Leggendo questo brano per la prima volta ho avuto la forte sensazione di essere nato nel posto sbagliato. Poi ho conosciuto meglio l’Inghilterra e gli inglesi e ho capito che Severgnini ha scritto di un popolo che, in massima parte, non esiste più. O, se esiste ancora, non arriverò mai a frequentare.

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Occorre ricordare innanzitutto che l’inglese e’ una lingua deliziosamente ipocrita, e non costringe chi la parla all’imbarazzante franchezza dell’italiano. Da decenni gli umoristi ricordano come la frase "messo sotto torchio dalla polizia" si traduca con "he’s helping the police with their enquiries", quando e’ chiaro che l’interrogato – nove volte su dieci – non ha alcun desiderio d’essere d’aiuto. La terminologia sportiva non e’ meno eufemistica: un calciatore o un giocatore di rugby puo’ essere physical [violento], robust [molto violento], committed ["impegnato", quindi omicida] e over-committed [psicotico].


Anche nella lingua di tutti i giorni e’ bene sapere che l’eufemismo trionfa. You may have a problem non vuol dire "potresti avere un problema"; significa che sei gia’ nei guai fino al collo. Allo stesso modo, I’m a bit tired vuol dire "sono a pezzi" , mentre a bit worried significa "terrorizzato". Chi vuole vivere serenamente tra gli inglesi ha bisogno di sapere che alla domanda How are you? [come stai?] non deve rispondere descrivendo i propri problemi digestivi. Basta che dica Very well, thank you se sta discretamente, e not too bad [non troppo male] anche se e’ in punto di morte.

A fare dell’inglese una lingua psicologicamente complessa contribuiscono molti fattori. La buona educazione, una lodevole dose di ipocrisia, una certa timidezza – l’ embarrassment resta la malattia nazionale britannica – ed infine il famoso understatement . I dizionari traducono questo termine come possono [affermazione troppo modesta, dichiarazione attenuata], ma non rilevano come intorno all’understatement ruoti, di fatto, la lingua inglese.
Facciamo qualche esempio. Nessuna ragazza, in Inghilterra, e’ "bassa".


Ci sono soltanto ragazze "not very tall", non molto alte. Le persone "antipatiche", in pratica, non esistono, sebbene chi ha un po’ di consuetudine con l’Inghilterra tenda a suggerire il contrario; esistono invece "persone non molto simpatiche" [not very nice]. L’ungherese George Mikes, subito dopo la guerra, sosteneva che le dichiarazioni d’amore dei giovani inglesi inglesi suonavano pressapoco cosi’: I don’t object to you, you know [non ho obiezioni contro di te, sai]. Quando proprio era amor fou – scriveva – il ragazzo poteva arrivare ad ammettere I rather fancy you, in fact [Anzi mi interessi abbastanza].


Nell’ottobre 1987, poche ore prima dell’uragano che avrebbe devastato Londra e l’Inghilterra meridionale, il metereologo della BBC annuncio’ l’arrivo di una southwesterly breeze , una brezza da sud-ovest. Ancora non si ‘e capito se fosse solo una previsione disastrosamente sbagliata, o invece l’estremo understatement.


Per le piccole bugie giudicate indispensabili alla vita sociale [sono stato trattenuto, ho avuto un contrattempo, ho telefonato ma era occupato] e’ stato inventato addirittura un nome: " little white lies ", le "piccole bugie bianche". Ma anche quando non si tratta di bugie resta il fatto che gli inglesi non sempre vogliono dire quello che che dicono, e quasi mai dicono quello che vogliono dire. Cosi’ la frase We should have lunch together sometime non significa che l’interlocutore inglese voglia davvero invitarvi a colazione, come le sue parole sembrano fare intendere. Vuole soltanto manifestare un tiepido interesse a rivedersi, se proprio non se ne potra’ fare a meno.


Allo stesso modo, come abbiamo gia’ avuto occasione di scrivere, una normale conversazione al termine di un party , in Inghilterra, diventa una pièce teatrale. Questo e’ quello che accade, e quello che un italiano di passaggio deve sapere, anche se e’ un principiante in grado a malapena di chiedere un bicchier d’acqua. Se un inglese, andandosene, dice affabilmente You should come around for a drink sometime ( passa a bere qualcosa da me) , non vi sta invitando; vuole solo essere genericamente gentile. Se volete traumatizzarlo, presentatevi il giorno dopo a casa sua, possibilmente in un’orario sconveniente come le otto del mattino o le sette di sera. Se volete farlo felice, invece, rispondetegli I’ll give you a ring, ti daro’ un colpo di telefono. L’ospite inglese sa che non lo farete mai, e per questo vi sara’ riconoscente. E’ possibile pero’ che, nella foga della recitazione, vi chieda di rimando Do you want my telephone number?, temendo segretamente una risposta affermativa. Se saprete chiudere la conversazione con un grande sorriso esclamando I’m sure you’re in the book , sono certo che sei nell’elenco del telefono, ve lo sarete conquistato per la vita.


La lingua inglese e’ talmente impastata di buone maniere che spesso perfino gli insulti diventano moine. Bisogna conoscerle, pero’, in modo da sapere quando arrabbiarsi. Se qualcuno vuol farvi capire che il vostro inglese e’ spaventoso, ad esempio, dira’ con un sorriso Your English is somewhat unusual [il suo inglese e’ insolito]. L’equivalente dell’italiano "Che stupidaggine!" e’ I agree up to a point [sono d’accordo fino ad un certo punto] o I can see a few problems in doing this [Posso vedere alcuni problemi cosi’ facendo]. Qualunque frasi inizi con I’m afraid… [ho paura] How strange… [che strano] e I’m sorry, but… [mi spiace, ma] e’ un segnale preciso: significa che il vostro interlocutore sta pensando di voi tutto il male possibile.

L’abilita’ di noi stranieri sta nel non stupirci. Dobbiamo ricordare che ogni lingua ha le sue caratteristiche, e la caratteristica – meglio: lo scopo – dell’inglese e’ prevenire la sincerita’ imbarazzante di chi parla italiano. Dobbiamo ricordare anche un altro particolare: non da ieri l’inglese e’ una lingua educata. Il giorno in cui la Regina Vittoria si arrabbio’ moltissimo con un suddito non decapito’ il malcapitato, come avrebbe fatto uno zar o un imperatore qualsiasi, ma disse: We are not amused [non ci siamo divertite]. La frase, giustamente, passo’ alla storia. E piacque ai sudditi, che compresero bene quanto la regina fosse furibonda. 

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