Una mela al giorno….

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A parte il proverbio che esemplifica il mio proverbiale e sbandierato cattivo gusto, la notizia del giorno è la morte di Steve Jobs. E, per quanto l’uomo fosse visibilmente malato da tempo e avesse già abbandonato qualsiasi carica in Apple, non è una notizia da poco.

E’ una di quelle notizie che prima o poi arriverà qualcuno e ti chiederà “dov’eri tu quando hai saputo della morte di Steve Jobs?”.

Io ero nel treno della notte che da Torino mi stava riportando a Genova, mentre tutti gli altri umani nel mio fuso orario dormivano beatamente. E nella notte, nel doveroso silenzio di un vagone di seconda classe, appena appena turbato dal monotono sferragliare dei binari, la notizia mi ha commosso.

Non sono mai stato un grande fanboy Apple, anzi. Quelle volte che mi capitò di lavorare con un Mac, in un passato remoto, ho odiato il mouse a singolo bottone o la tasiera AZERTY. Più recentemente ho odiato il modo di fare le cose così diverso da quello a cui ero abituato io, che ho sempre giocato e lavorato con lo standard de facto, il tanto vituperato Windows. Ecco, il Mac non è mai diventato standard e questo è sempre stato il suo più grande limite.

Più in generale ho sempre avuto, ed ho tuttora, la convinzione che i computer Apple si facessero strapagare la figaggine della mela morsicata, perché con gli stessi soldi spesi per un Mac di fascia bassa ci esce fuori un PC con i controcazzi. In questo Jobs è stato un genio, ha portato l’elettronica di consumo a livelli di popolarità inimmaginabili prima del suo avvento sulla scena.

E’ stato un genio a creare un bisogno per il marchio, associato ormai universalmente a caratteri estetici di primo livello, sia nella costruzione dei prodotti che nello sviluppo delle interfacce utente. Apple = top della gamma, questa l’equazione che Jobs ha fatto passare al mondo, che fosse vera o no.

Prima di lui i computer, i lettori mp3, i telefonini erano brutti. La bellezza era solo negli occhi del geek che guardava le specifiche tecniche del dispositivo, per tutti gli altri erano solo oggetti più o meno utili, più o meno misteriosi. Jobs ha reso tutti questi prodotti più belli e “femminili” e in questo modo ha allargato non solo il suo mercato, ma anche la percezione che il mondo poteva avere della tecnologia, elevata finalmente a status symbol universale, e non solo per la solita comunità di sfigati appassionati.

Jobs è stata la prima grande popstar dell’elettronica-informatica, capace di scavalcare i confini della stampa specializzata. Per i suoi modi istrionici, per il suo pensiero new-age, per il rifiuto del mondo geek a cui apparteneva e senza il quale non sarebbe stato Steve Jobs. I prodotti Apple, quelli di Jobs, sono sempre stati criticati dai geek, per le limitazioni che introducevano. Limitazioni sempre a vantaggio dell’azienda e spesso dell’utente non evoluto, che per Jobs era il vero target del suo lavoro. I geek si sono sempre sentiti traditi dalla sua non-preferenza nei loro confronti, per quanto non potessero fare a meno di ammirare i suoi meravigliosi giocattoli. I geek non volevano una popstar mondiale, ma il loro personale giocattolaio visionario, ciò che Bill Gates non è mai riuscito ad essere.

L’esempio perfetto è l’iPhone. Un dispositivo magnifico, di cui è impossibile non innamorarsi a prima vista. Al momento della sua uscita era anni avanti alla concorrenza. Concorrenza che ha iniziato a rincorrere e copiare, spesso non sapendo come fare e perdendo posizioni di vantaggio apparentemente impossibili da scalfire (l’ultima frase si traduce con la parola “Nokia”, per i non-geek). Adoro l’iPhone.

La comunità geek non ha potuto far altro che lustrarsi gli occhi e asciugarsi la bava per mancanza di termini di paragone, un qualsiasi altro dispositivo che, all’uscita del primo iPhone, potesse anche solo essere paragonato al nuovo gioiello della corona. Poi però, passata la prima sbornia e alla comparsa dei primi avversari (leggasi Android), la comunità geek ha iniziato ad alzare la testa e a chiedere a gran voce dalle oscure pagine di ancor più oscuri forum di settore quello che ha sempre chiesto e voluto: maggior libertà.

La libertà di poter fare col proprio meraviglioso giocattolo tutto quello che volevano, senza le fastidiose limitazioni che Apple ha sempre imposto sui suoi dispositivi per due motivi: per favorire e guidare l’utente inesperto attraverso un’interfaccia utente calibrata e senza possibilità di errore, e soprattutto per mantenere il più completo controllo hardware e software sui dispositivi da lei prodotti.

Sia chiaro, la gente comune non avverte minimamente il senso di frustrazione tutto geek per le potenzialità non sfruttate. Anzi, per molti, l’estrema semplicità d’uso è la chiave del suo successo. Senza dimenticare che un oggetto Apple, rispetto a un pari categoria della concorrenza, è mediamente molto più figo.

Gente non propriamente comune è, invece, quella che ha sempre venerato Jobs come il guru della chiesa di Apple. Sono coloro che, in queste ore, stanno deponendo candele, fiori e biglietti, persso gli Apple Store disseminati in tutto il mondo, moderne cattedrali asettiche, laiche e tecnologiche di una religione che non esiste. Seguaci di un messia fragile ed atipico.

Tutto questo, nel bene e nel male, è (era) Steve Jobs. Il fatto che io abbia letto la notizia della sua morte su un treno, utilizzando un oggetto che lui ha “visto” e inventato, la dice lunga sull’impatto che ha avuto, direttamente o meno, sulle nostre vite.

Da oggi il mio mondo, quello che si sente a proprio agio tra le specifiche dell’ultimo gioiello tecnologico, ha perso la sua popstar e un geniale e visionario ideatore di prodotti. Tutti gli altri umani hanno perso un uomo in grado di incidere concretamente sulle loro vite e migliorare il loro modo di fare le cose.

Penso che stasera mi riguarderò “I Pirati di Silicon Valley”.

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