Spero di dire la verità, tutta la verità…..

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Homer & Duff beer

Il ‘testimonial‘ nasce nell’era ingenua della pubblicità. Un personaggio noto, rispettato, testimoniava in prima persona la bontà di un prodotto, mettendo in gioco la propria credibilità. Le società committenti fornivano al personaggio in questione campioni gratuiti del prodotto da promuovere, e questi si riservava il diritto di riufiutare, nel caso non fosse convinto della validità dell’operazione. Tutto ciò in origine. Oggi, nella società visiva, rimane solo il termine ‘testimonial‘. Chiunque sia facilmente identificabile con una campagna pubblicitaria è un testimonial. Pupazzi, personaggi di finzione, bellone patinate altrettanto di finzione, guitti, attori, tizi da osteria. I veri ‘testimonial’, quelli antichi, quelli che emanavano autorità, quelli che si legavano per decenni alle sorti di un prodotto, non esistono più. Oggi i testimonial si creano a priori: prendi una belloccia poco nota e le fai un contratto da 15 spot, già al secondo è riconoscibile, al quinto spot è una celebrità. E dunque emana, se non proprio autorità, almeno un’autorevolezza (che poi oggi è all’incirca la stessa cosa, non vogliamo mica stare a discutere di ‘ste sottigliezze, vero?) che in origine non possedeva. Et voilà, il testimonial è creato. Con l’aiuto di una massiccia, e ossessiva, dose di passaggi televisivi, che fungono da fertilizzanti. Un po’ come spargere copiose dosi di cacca di mucca per far crescere una pianta, e farla diventare robusta, in grado di reggersi da sola, nel più breve tempo possibile.

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