Se Tokyo avesse il mare…

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Noi genovesi usiamo il mare per orientarci. Se riusciamo a capire in che direzione è, tutte le altre cose vanno al loro posto: mare davanti, monti dietro, levante a sinistra e ponente a destra. Il nostro più celebre concittadino, perdendosi per mare mentre cercava le Indie, ha perfino scoperto un nuovo continente. Perché è vero che aveva il mare davanti, ma non avere i monti dietro l’ha disorientato. Per non parlare di levante e ponente, concetti masticati con sicurezza praticamente solo in liguria.

Anche a Tokyo c’è il mare, ma nessuno l’ha mai visto. Non per caso, almeno, bisogna cercarlo apposta. Io ci ho provato, ma sono finito su un canale e poi davanti ad un fiume. E lì mi sono arreso, perché di attraversare a guado il Sumida non ne avevo voglia. Ho visto però la rampa d’accesso al Rainbow Bridge, il ponte dallo stile marcatamente newyorkese che collega il centro di Tokyo con la grande isola artificiale di Odaiba.

Ecco, proprio ad Odaiba ho notato l’unica cosa che a Tokyo può essere accomunata ad un lungomare, e perfino una spiaggia che sembrava vera. E forse non è una casualità se l’unica spiaggia vera (di cui ho avuto sentore) si trovi su un’isola finta. E’ un controsenso che dice molto di Tokyo.

Gli auctoctoni non sembrano avvertire la presenza del mare più dei turisti. Le passeggiate sulle rive di fiumi e canali (non essendoci lungomari) non sembrano essere molto popolari, almeno tra la popolazione dei salarymen. I clochard, invece, apprezzano molto di più. Ma non mi è del tutto chiaro chiaro se i primi evitano i luoghi abitati dai secondi, oppure sono questi ultimi ad essersi insediati nei luoghi meno frequentati dalla gente. A naso, parlando di Giappone, punterei più sulla seconda. In Italia la prima ipotesi vincerebbe a mani basse.

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