Ricordi annebbiati

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Ci sono dei giorni che WinAmp mi mette "I like Chopin" di Gazebo e io non posso non pensare a un nebbioso sabato di dicembre. Che ero in macchina col mio amico Spassky, stavamo andando a Este a trovare il Panzòn, e dal mio ciddì di emmepitrè ti spunta fuori proprio quella canzone, e allora io dico che il ritornello proprio non lo capisco. E Spassky mi guarda un po’ perplesso, ma poi arriva il ritornello e io gli faccio "ecco, senti un po’, secondo te che cosa dice qui?".
Che io l’inglese lo so, e lui pure, ma poi arriva il punto in cui Gazebo canta:

"Rainy days never say goodbye
To desire when we are together
Rainy days growing in your eyes
Tell me Ués… Oh-Iiiii"

Ecco, fatemi un favore, lo so che su internet si trovano i testi di tutti, e quindi c’è persino Gazebo. Però ascoltatevela bene, prima di andare a cercare la soluzione.
Ascoltatevi il ritornello un paio di volte, fatelo per me.

Perché noi proprio non siamo riusciti a capire quel "Ués… Oh-Iiii". Ammettiamo pure che il cantante abbia la erre moscia, d’altra parte ce l’ha pure Spassky, quindi non è un’ipotesi così assurda. Quindi "Ués" può benissimo essere "where’s". Ma "Oh-Iiii" che cazzo significa? Che da un cantante italiano, che canta in inglese, e che si chiama come un arredo da giardino ti puoi aspettare di tutto. Ho anche provato a chiamare l’IKEA, che magari loro lo sapevano. "Gazebo? Certo che sappiamo che cos’è! Abbiamo il modello Skőorksljűnd in offerta a 99.95€" "Grazie, magari passo in negozio". Non hanno capito.

Noi a un certo punto ci siamo arresi. Con stile, però. Abbiamo rimesso la canzone daccapo, rinunciando a comprendere il significato di quelle parole oscure, ipnotizzati dalla magia di quei vocalizzi senza significato, e ogni volta che arrivava il ritornello io aprivo il finestrino e gridavo "Uès… Oh-Iiiii" a tutti gli attoniti passanti, che avrebbero preferito continuare a farsi i cazzi propri, piuttosto che sentire un genovese gridare da una macchina in corsa. Certi giorni va che ti diverti con poco.

Certi giorni va anche che devi per forza fermare di colpo la macchina. Perché anche se sei ormai quasi arrivato a destinazione, vedi qualcosa che non t’aspetti di trovare. Che lo sai che nell’operoso nord-est ci sono tanti capannoni, tutti uguali, tutti tranne uno. E non sai bene dove ti trovi, ma dal cortile di una ditta che produce chissà cosa, vedi spuntare una Torre Eiffel in miniatura, ma neanche poi tanto in miniatura. E non puoi passare dritto, o almeno, noi non potevamo. Dovevamo fermarci e farci una foto, che mica è roba da tutti avere una foto così, e se non ci fosse stato un cartello lì a pochi metri che ce lo diceva, mica c’avremmo creduto di essere a Sabbione, da qualche parte nella nebbia veneta.
Che a Parigi sono capaci tutti, ma trovatevela voi una Torre Eiffel nel bel mezzo della pianura padana, se siete capaci!

A quel punto sapevamo entrambi che sarebbe stato comunque un bel fine settimana, uno di quelli da ricordare per un po’.

Spassky e Hardla davanti alla Torre Eiffel di Sabbione.

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