Reality Fiction

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Riassuntino: Hardla, novello Diogene della cultura pop televisiva, cerca la verità con il telecomando. Non trovandola, fa installare un’antenna parabolica sulla sua botte e ci si chiude dentro, aspettando tempi migliori.

In tivvù non si parla d’altro. Tutti quelli che hanno l’occasione di mostrarsi in video avvertono la pressante esigenza di sbandierare la propria verità, forse per prendere le distanze da quanto di falso ci viene proposto ogni giorno. Io negli anni ’50 non c’ero, ma immagino come possa essere stato. Alla TV si credeva, la TV era solo verità, se una cosa veniva detta in TV doveva essere attendibile per forza. E’ incredibile pensare che nel 2004 ci siano persone che hanno ancora questo atteggiamento nei confronti di un mezzo che sembra nato apposta per diffondere le proprie strumentalizzazioni. Non parlo solo di politica, sarebbe troppo facile individuare i mali della comunicazione istituzionale in questo paese. Quello che mi preoccupa sul serio è l’intrattenimento.

Sono anni che assistiamo più o meno consapevolmente alla cancellazione di una linea di confine che si credeva non potesse essere messa in discussione: la frontiera che separava il vero dal falso ormai non esiste più, al suo posto troviamo, invece, una vasta area dedicata alla coltivazione del “verosimile”, i cui prodotti sono tanto più criticabili quanto più tendono a ingannare il pubblico. Esistono quiz verosimili, reality show finti, programmi di infotainment (neologismo inglese per indicare il genere a metà tra l’informazione e l’intrattenimento puro) manipolati.
Lo spettatore, nel migliore dei casi, è perplesso. Se proprio va male, crede a tutto. Ormai diffido di tutto quello che vedo, sono arrivato a dubitare di quei programmi che si vantano di mettere alla berlina le quotidiane falsità della tv stessa.

Questo atteggiamento offre dei vantaggi non trascurabili: manlevando i programmi dall’incombenza della verità, mi concentro sull’effettiva godibilità dei contenuti. Chi mi conosce lo sa che, almeno in ciò che riguarda la tv, non sono affatto snob. Guardo di tutto. Che non vuol dire che mi piaccia tutto. Adoro in particolare l’umorismo involontario offerto da alcuni programmi che altri definirebbero spazzatura ma che io amo chiamare kitsch o naif, a seconda del genere. Sono un’autorità in materia di telefilm.
Raramente mi incazzo davanti allo schermo, esprimo il mio dissenso con l’unico elemento attivo di questa comunicazione passiva, il telecomando. Il telecomando, contrariamente all’opinione generale, ha più di 10 tasti. Vorrei segnalare ai meno pazienti tra voi quello in alto a sinistra, quello rosso, che permette allo spettatore di fare dell’altro. E soprattutto quello a destra, chiamato “prese esterne” che ci consente di accedere a nuovi contenuti multimediali, come videocassette, dvd e videogiochi. Per i più evoluti persino altri programmi televisivi, ma in altre lingue.
Se mi si chiede qual è il programma che apprezzo di più, la mia risposta è rapida e decisa. Blob. Riesce a raccontare perfettamente il modo in cui io vedo le immagini sullo schermo.

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