L’ospite

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"Sono il signor Roarke, il vostro ospite. Benvenuti a Fantasilandia"

Avevo sette anni quando Fantasilandia andava in onda. Avevo sette anni quando ho scoperto che nella nostra meravigliosa lingua una parola può significare qualcosa, ma anche il suo contrario. Che l’ospite è quello che srcocca da mangiare, da bere o un letto, ma anche colui che decide più o meno volontariamente di offrire il proprio cibo o la propria casa.

Col tempo ho capito che questa particolarità non si applica solo a bizzarri telefilm americani. Che spesso le parole assumono significati opposti a quelli che sentiamo pronunciare con le nostre orecchie. Che talvolta un no vuol dire si, ma pure che si, se detto in un certo modo, non può che essere no.

Un sorriso può nascondere un vaffanculo, come invece uno sguardo basso e distratto magari cela una forte emozione che si ha paura di manifestare. Tutte queste sottigliezze sta a noi capirle, se vogliamo. Qualcuno le trova incredibilmente affascinanti, per altri sono una formidabile mancanza di chiarezza, una perdita di tempo.

Facciamo che io stasera il problema non me lo pongo. Stasera sono contento di non essere un nano francese vestito di bianco che passa il tempo ad avvistare idrovolanti. E non è poco, credetemi.

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