Le fasi di un fotografo

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Chi bazzica i siti di fotografia (e perché dovrebbe, poi?) probabilmente ha già visto questo grafico altre volte. E’ una spiritosata molto celebre, per quanto possa essere celebre una spiritosata per nerd fotografi, ovviamente, che illustra le fasi della vita di un fotografo, dalla scoperta del primo telefonino con fotocamera (“ehi, guarda com’è bello il mio gatto!“), fino alla morte del protagonista.

Legenda:

  • la linea arancione indica il livello delle conoscenze del fotografo (tecnica, composizione, cultura, materiali…)
  • quella azzurra la qualità delle foto percepita dal fotografo stesso
  • quella verde la qualità reale delle sue foto

Questo grafico merita uno sguardo meno fugace del normale, per due motivi. Il primo è che è simpatico, prende in giro un po’ di luoghi comuni legati alla pratica fotografica: quando ho visto la “buca HDR” mi sono metaforicamente schiantato dalle risate perché, come molti, pure io ci sono caduto. Ma, per fortuna, ho avuto la forza di rialzarmi piuttosto velocemente. Poi, la beata ingenuità del principiante.  Le esaltazioni e le depressioni bipolari: “tutto quello che fotografo è bello”, “cazzo, faccio schifo”. Le iniezioni artificiali di esagerata autostima che derivano dalla frequentazione di siti tipo Flickr o simili, ma ci metterei anche Facebook, la benevolenza degli amici e gli obbligatori complimenti della nonna, tutte circostanze in cui la parola “magnifico” viene usata con scarsa parsimonia.

Il secondo e più importante motivo è che questo grafico è fottutamente vero. Certo, ci possono essere scarti più o meno significativi, ma a me le cose stanno andando all’incirca in questo modo. Se dovessi trovare una mia posizione sul grafico, direi che sono tra “Ho trovato una vecchia macchina a pellicola” e “Composizione”, anche se in realtà non sono ancora ad un livello di bravura tale da potermi permettere una sola esposizione per ogni inquadratura. Sui livelli di qualità reale (linea verde) non mi sbilancio, ma vi posso assicurare che la mia percezione (linea azzurra) sta salendo proprio come nel grafico.

La cosa singolare è che per arrivare al mio punto attuale, da un punto di partenza simile a quello iniziale, mi ci è voluto solo un annetto e mezzo. A luglio 2010, pur avendo già sviluppato mie idee personali sulla composizione dell’immagine (che sarebbero state ridiscusse in modo piuttosto radicale nei mesi successivi), partivo per il Giappone con la mia reflex digitale fermamente settata sul programma automatico (“così non faccio casini“) e pochissime nozioni di tecnica. Per questo motivo molti dei miei scatti giapponesi, per quanto possano essere più o meno interessanti visivamente, sono compeltamente sbagliati dal punto di vista tecnico. E non vi sto a dire quanto ciò mi faccia incazzare.

Avevo sì un cavalletto, e per questo motivo sono caduto nella buca HDR con un po’ di anticipo rispetto alla media. La qual cosa ha generato alcune bizzarre incongruenze del tipo che, al momento di iscrivermi al mio primo corso di fotografia (un corso intermedio, un riconoscimento che all’epoca mi aveva riempito di orgoglio, perché non mi sentivo un dilettante), sapevo perfettamente dominare la tecnica per produrre HDR davvero sfrontate, ero un maestro a fare foto panoramiche (scatta, gira, scatta, gira, scatta, gira, scatta, sbatti tutto dentro autostitch…), sapevo ritoccare discretamente con Photoshop, ma non avevo idea di come comportarmi con la misteriosissima profondità di campo (il che significa che non avevo afferrato neppure nulla dei diaframmi, robetta mica da poco, però almeno i tempi li avevo capiti…). Ciò mi rendeva a tutti gli effetti un ingegnere con la macchina fotografica, piuttosto che un fotografo.

Da quel momento, era dicembre 2010, ho divorato con voracità 3 stimolantissimi corsi, tutti intermedi, uno dietro l’altro. Più un workshop. Ho acquistato e letto decine di libri, illustrati e non. Ho scoperto una passione che non sapevo di avere. E, alla fine, ho trovato quella vecchia macchina a pellicola di cui parlavamo prima, che sento mi darà grandissime soddisfazioni.

Sempre che riesca a trovare i rullini, perché già la pellicola non è che si utilizzi più molto, oggigiorno, e in più io uso il formato 120 (detto anche 6×6 per le dimensioni in cm del fotogramma) molto più raro di quello normale (il 135, detto anche 35mm). In più la mia pellicola preferita, quella con la massima sensibilità, è la portentosa Ektar da 100 ISO, che costa modici 6€ per un rullino da 12 scatti. Ed è prodotta da Kodak, casa che dopo 120 (no dico, 120 anni, formato 120, non sarà mica un caso vero?) lunghi anni di onorata attività, decide di fallire giusto oggi, proprio mentre inizio a fotografare io. Tutta colpa dei Maya, sicuramente.

Ma porca zozza.

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