La morte in diretta

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Argomento attuale. Prendo lo spunto dalla morte di Alberto Castagna, anche se in realtà volevo parlare d’altro. Quando muore un personaggio così famoso è lecito aspettarsi una ferocia mediatica di dimensioni bibliche, ma confesso di sorprendermi ogni volta. Magalli ha detto una cosa intelligente, una delle poche sentite in questi giorni. Ha ricordato, non senza un garbato accenno polemico, le risate con Castagna mentre gli faceva notare di essere stato uno dei pochi personaggi pubblici a leggere i propri elogi funebri. Ricorderete, infatti, come il presentatore venne dato per spacciato già qualche anno fa, a causa di alcune delicate operazioni che ha dovuto subire. Non a caso questi articoli, spesso preparati prima della morte di un personaggio celebre, si chiamano, in gergo, "coccodrilli", per richiamare le proverbiali lacrime dell’animale che tutti amiamo per le cinture e le borse. Coccodrilli che, puntualmente, sono stati rispolverati in questi giorni. Interviste a sedicenti amici, tutti pronti a ricordare l’umanità e la vitalità del personaggio. Tutte uguali, tutte impersonali, tutte di maniera.
Ma, tornando al discorso iniziale, la mia sorpresa non è tanto per l’attenzione che i media hanno rivolto all’evento, quanto piuttosto alla loro delicatezza. Muore un tizio qualsiasi, magari in circostanze drammatiche, e gli inviati braccano la famiglia per filmare ogni lacrima versata, esalatandosi in domande significative come "cosa prova in questo momento?". Muore un collega e le famiglie vengono risparmiate, si rispetta il dolore, persino la privacy. Il diritto di cronaca, all’improvviso, non è poi così importante.

L’uccisione di quel bambino, a Cogne, ha avuto una copertura talmente pesante da rendere il tutto materia di cronaca rosa, più che nera. Da cronaca a dramma, poi melodramma fino a farsa. Grazie al fondamentale apporto della famiglia Lorenzi, che ha presto capito che per ribattere accuse televisive ci vuole una difesa televisiva. Con grande soddisfazione delle tante Irene Pivetti, che ancora si sta sfregando le mani per lo speciale "Giallo Uno" andato in onda un paio di sere fa. Certo, la cronaca nera interessa il pubblico, ma ciò che differenzia "Giallo Uno" da "Blu Notte", non è solo il colore del titolo. Giallo, blu, rosa, nero.

Poi c’è chi sopporta in silenzio, per opportunità. "Campioni – il sogno" è un reality calcistico, piuttosto riuscito in verità, in onda su Italia 1. E’ capitato, la settimana scorsa, che a Christian Arrieta, giovane difensore del Cervia, sia morto il papà. Forzando il dignitoso riserbo tenuto dal giocatore, nella diretta in studio di lunedì, compagni di squadra, regia, conduttori e pubblico si sono prodigati in esagerate quanto pacchiane manifestazioni d’affetto. Ispirate, a mio avviso, più a un malinteso buonismo televisivo che al rispetto della sensibilità della persona coinvolta. Manifestazioni a cui il ragazzo non ha saputo sottrarsi nè, tanto meno, ribellarsi, e che ha accolto con un laconico silenzio. Perché, come si dice in questi casi, lo spettacolo deve continuare e perché forse, per lui, quest’occasione è davvero troppo importante per gettarla via per vaghe questioni di principio. O forse sono io che non ho capito nulla di ciò che è successo. 

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