Intolleranze elementari

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Da un po’ di tempo ho maturato un’insolita repulsione per il genere umano.

Qualcuno, tra quelli che mi conoscono, potrà pensare che non è che anche prima. Ma la realtà è che io non ho mai avuto in odio la gente, nella sua totalità, al limite qualche selezionato e raro individuo. Certo, il mio carattere schivo può essere scambiato per misantropia, ma solo chi non ha capito niente di me può non capire la differenza. Io ho sempre avuto paura della gente, è diverso. Ho sempre avuto soggezione della gente, una soggezione figlia di insicurezza. Non ho mai odiato la gente perché mi faceva sentire inadeguato, al limite odiavo me stesso per questo stesso motivo, a questa è un’altra faccenda.

Ultimamente, però, ho iniziato a maturare un fastidio crescente per le persone, per i loro piccoli vezzi e le loro inutili opinioni. Credo che, in parte, sia colpa di Facebook, il pulpito virtuale da cui chiunque può predicare qualsiasi cazzata solo perché si sente legittimato da una bachceca che non smette di chiedere “A cosa stai pensando?”. Coloro che non si pongono limiti nel rispondere a questa domanda sono quelli più a rischio, perché sono davvero convinti che a qualcuno importi leggere il loro umore/opinione/consiglio del momento. Forse si sono perfino persuasi che la loro verve comunicativa sia figlia di un sincero desiderio di uno scambio dialettico e costruttivo. Cosa ovviamente assurda perché le persone o cercano conferme alle proprie opinioni o amano attaccare briga per sfogare le frustrazioni della settimana lavorativa, se ne sbattono altamente di partecipare a discussioni costruttive con chi la pensa in modo diverso.

Il terreno minato per eccellenza è, ovviamente, la politica. Chi scrive ad una platea così vasta lo fa per proselitismo o per deridere l’avversario. Il primo caso è, paradossalmente, il più assurdo perché di norma le persone tendono a sopravvalutare il proprio potere, il proprio carisma, l’ascendente che possono avere sugli altri. Soprattutto se si ha per le mani Facebook, un mezzo intrinsecamente concepito per convogliare messaggi al più telegrafici. Quindi o si possiede l’arguzia aforistica di Oscar Wilde o potete anche tornare a giocare a Candy Crush Saga, qualsiasi cosa sia, basta che non mi mandiate quei cazzo d’inviti. Chi deride l’avversario ha, similmente, scarsissime possibilità di sortire qualche risultato, ma almeno si sfoga un po’ ed elimina un le tossine accumulate in ufficio. Venti e passa anni di berlusconismo dovrebbero ormai aver insegnato ai più attenti che la derisione dell’avversario non è necessariamente un mezzo efficace per alienargli le simpatie. Se comunque, incuranti di queste semplici considerazioni, volete lo stesso attaccare briga, siate preparati alle prevedibili e altrettanto veementi repliche, perché raramente i vostri lettori se ne staranno buonini, impietriti dalla vostre solide argomentazioni.

Ecco appunto, quelli che deridono l’avversario sono anche i più fastidiosi da leggere: stare dall’altra parte della bacheca, soprattutto se si sta pure dall’altra parte della barricata politica, può essere piuttosto scomodo. Specialmente in tempi di campagna elettorale, come ora. Ma anche chi non ha colore politico opposto può comunque trovare fastidioso un costante e reiterato richiamo allo sberleffo e al dileggio politico, a maggior ragione se chi lo pratica non è Oscar Wilde, come abbiamo già avuto modo di osservare.

Altro target, ma non necessariamente, è quello individuato dai cosiddetti “opinionisti ad ampio raggio”. Costoro non si limiteranno ad esternare  senza filtri le proprie considerazioni politiche, vi propineranno la verità su qualsiasi argomento frulli loro nel cervello in quel momento. Queste persone sono tipicamente volitive e sicure, almeno davanti ad un monitor: raramente opinano, quasi mai ritengono, in nessun caso dubitano. E non hanno nemmeno bisogno di pensare, le loro opinioni sono frutto di una pratica consolidata, gli argomenti a supporto delle loro tesi fluiscono automatici senza esitazioni o inceppamenti, tanto il meccanismo dell’opinionista è ben oliato e registrato nel tempo. Costoro sono sempre pronti ad un confronto dialettico la cui conclusione deve necessariamente prevedere la conversione dell’interlocutore o il suo sfinimento fisico e mentale.

Ci sono poi coloro che non vogliono rinunciare a raccontare tutti i cazzi loro, non curandosi del fatto che a nessuno importa una beneamata sega. Loro mi fanno tenerezza, sono davvero persuasi che il mondo, soprattutto quello virtuale, sia popolato da magnifici esseri umani in costante empatia con le nostre emozioni e i nostri sentimenti. E non si accorgono che i commenti ricevuti sono frutto di un meraviglioso procedimento intellettuale atto ad ottenere una perfetta sintesi di massimo risultato in termini di immagine del commentatore con il minor rischio di coinvolgimenti e rotture di cazzo. Nel caso tali commenti siano troppo difficili da scrivere nell’arco di tempo designato a queste attività (pochi secondi), ci si accontenta, nell’ordine, di frasi fatte,  di simpatiche emoticon o dell’immancabile tasto “like”, grado minimo della partecipazione e ultima spiaggia del finto empatico compulsivo da tastiera.

E io? Io sono un po’ ciascuna di queste persone, ma le mie cazzate non le scrivo certo su Facebook, dove possono essere lette. Me le tengo al sicuro nella mia testa, dove sono certo che non verranno mai scovate, o al limite le scrivo qui, su questo blog, tanto il risultato è il medesimo…

 

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