Il torto dei vincitori

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Nelle ultime ore la mia bacheca facebook è esplosa di commenti e opinioni riguardanti La Grande Bellezza e il suo freschissimo Oscar come Miglior Film Straniero. Commenti e opinioni che svariavano dall’estasiato allo sprezzante, con tutte le sfumature intermedie possibili.

Prima di continuare oltre confesso subito il mio bias positivo: ho adorato da subito il film che ho visto 2 volte, prima al cinema e poi in bluray. L’ho trovato elegante, divertente, cattivo, sublime, delicato, ironico, triste. Mi ha perfino fatto apprezzare Carlo Verdone, per il quale da anni ho dei preconcetti grossi come caseggiati sovietici.

Per questo motivo ha fatto fatica a capire alcuni dei commenti più marcatamente negativi riguardanti il film e la sua vittoria. Ho avuto l’impressione che, in molti di questi casi, la principale colpa di questo film fosse proprio quella di aver vinto.

Atteggiamento peraltro non avulso alla mentalità del nostro paese, sempre pronto a compatirti nella sconfitta (con un segreto sogghigno) quanto a disprezzarti nella vittoria (salvo cercare di sfruttarla a proprio vantaggio). L’Italia pensante, da sempre avvezza alla sconfitta, odia lo sporadico vincitore italiano a prescindere, poi razionalizza e trova dei motivi per esternare. E se è vero che “Siamo tutti dei grandi sciatori, e sport invernali” (cit.) in occasione di Olimpiadi, Mondiali, Europei et cetera è anche vero che queste vittorie sono tutte nazional-popolari (cit.), patrimonio dell’Italia cosiddetta non-pensante. Non di rado l’intellettuale se ne discosta con ostentato disinteresse. Perché spesso vincere non è chic e finisce per diventare una colpa.

In molti altri commenti, invece, ho letto comprensibili motivazioni personali per cui il film non era piaciuto ai diretti interessati. Ci posso stare, non condivido, ma ci posso stare. Il cinema può anche essere opinabile, in una certa misura (ma solo fino ad un certo punto, eh…). Se il film tocca delle corde a cui sono più sensibile e lo fa in modo non grossolano, con un linguaggio che capisco, è chiaro che la mia opinione sarà più positiva rispetto a quella di altri. Ma una delle critiche più frequenti che ho letto mi ha perplesso non poco e ne parlo qui perché: 1. molti di coloro che l’hanno evidenziata sono amici e potenziali lettori di questo blog; 2. per discorsi più articolati mi trovo meglio qui che non su facebook; 3. dall’ufficio non posso accedere a fb per controbattere e, nel frattempo, la discussione sarà sicuramente andata avanti a mia insaputa quindi tanto vale scrivere qualcosa di indipendente.

La critica è: La Grande Bellezza è un film che piace agli americani, o fatto per piacere agli americani. Mi chiedo: piacere agli americani è un limite? Se un film piace a loro deve automaticamente fare schifo agli italiani? Non mi sembra, noi italiani ci nutriamo quotidianamente di film americani che piacciono agli americani, come al resto del mondo. Ma, andando oltre, La grande bellezza è un film fatto per piacere agli americani? Non lo so, magari non solo a loro, magari non si pone un limite di nazionalità. E comunque dipende: se la domanda implica che sia un film ruffiano, fatto per racimolare statuette, beh, mi sento di dissentire. Conosco molti italiani a cui è piaciuto da subito, e non per la nomea di film da premio che s’è costruito ultimamente. Io, da italiano, mi sento molto rappresentato da questo film, non offre un’immagine finta del nostro paese, né idilliaca, anzi. La palese bellezza della fotografia e delle descrizioni è funzionale al contrasto coi personaggi. E in questo non è affatto ruffiano, tutt’altro. Mi stupisco di come i detrattori non abbiano apprezzato la spietatezza delle descrizioni di alcuni personaggi o dei dialoghi.

Per molti, poi, è necessario che un film sia politico per essere un buon film. Ma un film può essere politico senza sbatterti in faccia la politica, senza urlartela nelle orecchie, magari nascondendola dietro una forma esteticamente inappuntabile, magari usando temi meno popolari. La bellezza formale è un limite? Non credo. Rende più laboriosa la comprensione del contenuto, perche lo avvolge in un mantello sgargiante, ma dona una soddisfazione infinitamente maggiore quando ciò riesce finalmente ad avvienire. Il ruvido film indipendente girato in 16mm con poche lire e cinepresa a mano potrà anche andare diretto al punto ed essere un capolavoro sincero, se realizzato con idee buone, ma rischia anch’esso di finire nel calderone dei ruvidi film indipendenti di belle intenzioni quando invece le idee non lo supportano. La forma non prescinde dalla sostanza, sempre.

Che un film italiano piaccia all’estero proprio non riesco a vederlo come un limite. Anche e soprattutto perché non lo fa tradendo la nostra identità nazionale (metti mai che ne esista una…). Che un film italiano sia realizzato per piacere ANCHE all’estero è, di nuovo, qualcosa che non percepisco come difetto. Anche perché il cinema italiano è zeppo di pellicole autoreferenziali che non riescono ad uscire  dai giardinetti di quartiere, né ambiscono a farlo, altro che estero. L’ambizione di superare per una volta il conclamato provincialismo italiano dovrebbe essere salutato con benevola simpatia, non con ostilità e rancore. Ma, di nuovo, ho il sospetto che in certi ambiti intellettuali provare ambizioni in modo manifesto sia visto con sdegno. L’ambizione pubblica e riconosciuta è poco chic.

Non trovo La Grande Bellezza un film ruffiano, come ho letto in giro. E avere dei punti di contatto con La Dolce Vita non trovo sia un difetto. Ce ne fossero di film che provano a volare alto, ci vuole un gran coraggio per tentare e una gran bravura (e culo) per riuscire, come è successo a Sorrentino. Molti preferiscono assestarsi su una loro epicurea aurea mediocritas che, purtroppo, finisce per scivolare in una più prosaica mediocrità di realizzazione. Il film offre una visione parziale della società italiana, non ha pretese di completezza o esaustività. E forse dipingere un paese partendo dai ceti più privilegiati può far storcere il naso, soprattutto in questo momento.  Ma anche un pur ottimo film come Reality di Garrone offre una visione altrettanto parziale, seppur diametralmente opposta, del paese, e nessuno si sogna di criticarlo per questo. Forse la Grande Bruttezza è più assolvibile?

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