Hardla e il tennis – Parte 1

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Tra gli anni ’70-’80 lo sport in voga era il tennis. Eserciti di piccoli e grandi Panatta invadevano campi in terra rossa o cemento, spuntati chissà quando sulle alture della città. Nella mia famiglia il tennis è arrivato grazie al declino fisico di mio padre, tutta colpa dei primi segni di quel rilassamento addominale che, col tempo, è diventato la caratteristica più distintiva del vecchio genitore. "Ho la pancetta, vado a giocare a tennis", frase incredibile se pronunciata da uno che considerava ginnico portarsi la tazzina di caffé alla bocca un paio di volte al giorno.

Stimati professionisti, rispettati geometri, tutti quanti in pellegrinaggio alla mecca del tennis genovese, il mitologico "Mauri Sport". Nessuno sa se il tal Mauri esistesse davvero, ma se siete stati allo stadio di Genova in quegli anni avrete sicuramente sentito lo slogan "Mio nonno vestiva da Mauri, mio padre veste da Mauri e io, che sono giovane, vesto da Mauri". Ma a ‘sto punto mi domando: se Mauri è mai esistito, negli anni ’80 doveva avere circa 110 anni, il che rendeva grottesco il nome "Mauri Sport" dato alla nuova filiale sportiva del famoso negozio d’abbigliamento. A meno che, naturalmente, non  vogliamo considerare la respirazione un gesto atletico.
Comunque, da "
Mauri Sport" ci trovavi tutto il necessario e, soprattutto, tutto il superfluo: racchette in alluminio talmente aerodinamiche (la fibra di carbonio sarebbe arrivata solo qualche anno dopo, quando tutti ormai avevano smesso) che se non stavi attento volavano da sole, per questo molti compravano anche delle borse per chiudercele dentro, palline fosforescenti antinebbia, polsini e fasce frontali di spugna a bande rosse e blu, modello Jimmy Connors, compresa una lista d’insulti in inglese da pronunciare all’arbitro. Per molti di loro la fatica del tennis iniziava e terminava nello stesso momento, alla cassa di Mauri.

Mio padre è sempre stato un teorico, ha sempre avuto bisogno di solidi supporti morali e filosofici a conforto delle sue azioni. Solitamente supporti cartacei, libri perlopiù, quasi sempre totalmente inutili. Per questo ricordo con affetto il momento in cui ho scoperto, ingiustamente nascosto in un armadio in campagna, IL capolavoro, il libro definitivo sullo sport coi punteggi più stronzi della storia. "Il tennis facile" di Gianni Clerici. Per chi non lo sapesse, Gianni Clerici è un giornalista sportivo slash poeta, famoso per le sue telecronache con l’amico Rino Tommasi, ore e ore di diretta a parlare di gossip o a commentare le forme statuarie della tal tennista. Uno spettacolo. La partita finivi per non seguirla, ma al termine della telecronaca potevi a buon titolo sostenere una dotta conversazione circa il ciclo mestruale di Gabriela Sabatini.
"Il tennis facile" è un manuale di tennis.
Illustrato.
A fotografie.
Molte fotografie.
Di Gianni Clerici.
In pantaloncini.
Ogni colpo è spiegato con dovizia di particolari, per mezzo di favolosi scatti che ritraggono il popolare maniaco sessuale, già allora pelato, con pancetta e occhiali da nerd, eseguire aperture, servizi, rovesci e voleé. Con quel suo inimitabile stile che l’ha reso celebre in tutti i club di scambisti di Roma. Oltre, naturalmente, al suo vezzo di voler sempre scambiare Rino Tommasi, truccato alla meglio e con parrucca modello Raffaella Carrà. Ma nessuno c’è mai cascato, pare.

Nella prossima puntata cercherò di rispondere a gravi questioni rimaste in sospeso, del tipo:
"Ma tuo padre ha mai giocato a tennis? E tu?"
"Che misura di reggiseno porta Maria Sharapova? E Rino Tommasi?"
"E’ vero che far l’amore a nord di Trieste è un’esperienza deludente?"

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