Hardla dice la sua su Facebook

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Facebook, come si dice in america, che loro di ‘ste cose ne capiscono, è la "next big thing". Cioé l’ultima di una lunga serie di cose che se non sai che cacchio siano, allora che stai al mondo a fare. Tanto varrebbe suicidarsi o iscriversi al partito della libertà. Che non è come togliersi la vità, però equivale un po’ a morire dentro. In parole povere Facebook è l’ultima figata del momento, quella che compare su tutti i giornali, spiegata a persone che non l’hanno mai sentita nominare da giornalisti che non si sono presi la briga di utilizzarla. Un po’ come succedeva coi blog qualche anno fa.

Ma parlavo di Facebook. E’ da un po’ che sono iscritto e, oggettivamente, non ho ancora capito a che cazzo serve. Probabilmente a nulla. Probabilmente il non servire a nulla è la chiave del suo successo. Probabilmente il fatto che mi sia iscritto a Facebook è la causa prima del languire di questo blog, e non solo per quanto riguarda me. Ma probabilmente ho ipotizzato troppe cose, vediamo di mettere qualche paletto fisso.

Su Facebook, se lo vuoi usare per benino, non puoi nasconderti dietro un nickname. Ci metti nome, cognome e la faccia. Una faccia un po’ piccolina, invero, almeno all’inizio. Tanto piccolina che distinguere un Mario Rossi ex compagno delle elementari che non vedi più da 25 anni da Mario Rossi spogliarellista transessuale nel Congo Belga, diventa un’impresa non da poco. E magari poi alla fine scopri che alle elementari solevi frequentare tipi davvero bizzarri.

Perché il Facebook è questo, è il libro con le facce, quello che si vede nei film americani, che loro di ‘ste cose ne capiscono. Quello che quando finisci l’anno scolastico ti compri il libro e vedi la tua faccia stampata sopra, con tutte le altre facce della scuola, mentre in sottofondo parte quella canzone dei Tears for Fears. Poi dopo 15 anni lo tiri fuori di nuovo e i tuoi figli ridono della tua capigliatura a triglia. Mentre tu ti chiedi chissà che fine avrà fatto Jack Smith, il quarterback della squadra. E ignori che Jack vive nel Congo Belga con uno spogliarellista transessuale italiano. E il cantante dei Tears for Fears.

Ecco, sarà che a me, in fondo, di sapere che cosa combina Mario Rossi nel Congo Belga (e tantomeno Jack Smith, magari giusto il cantante dei Tears for Fears) non me ne fotte poi granché. Su Facebook finisco per frequentare gli amici di sempre, i colleghi di lavoro, quelli che comunque vedo ogni giorno. O che potrei vedere ogni giorno, almeno su internet. Non ho ritrovato gli amcihetti delle medie o vecchi amori dispersi. Anche perché non ho vecchi amori dispersi, ma ora non si parlava della mia accertata sfiga.

Potrei continuare per ore a spiegarvi che persona arida e insensibile io sia. Ma preferisco che al mio posto lo faccia il mai troppo celebrato Corrado Guzzanti, con una famosa battuta che riporta il mio pensiero molto più efficacemente di quanto potrei mai fare io in mille anni. Che al limite poi ve la prendete con lui, tanto è comunista.

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